miércoles, 16 de octubre de 2024

(Intervista/Entrevista) Raoul Bova: “Il mio Don Massimo è amato dalle suore. Ho fatto pace con il giovane sex symbol che sono stato” /«Mi Don Massimo es querido por las monjas. He hecho las paces con el joven sex symbol que fui».


Non hai paura di rimanere intrappolato nel ruolo?

Quest'anno sono riuscito a concentrarmi su altri progetti, da Emily in Paris a Buongiorno Mamma, fino a uno spettacolo a teatro. Per fortuna ho la possibilità di cimentarmi in tanti ruoli diversi senza il rischio di rimanere imprigionato in uno.

Non si tratta di proteggersi, ma è vero che gli addetti ai lavori possono vederti soltanto in un ruolo o pensare che tu possa fare solo questo.
 
Rocío Muñoz Morales diceva che le più grandi fan di Don Massimo sono le suore. Confermi?

Le suore che conosce lei sì, siamo molto affezionati a loro. Però devo dire che il pubblico è molto vario. Mi sono reso conto che è ampio il raggio d’azione, da nonna a nipote c'è di mezzo una generazione.

Nel ruolo di Don Massimo indossi i panni di un religioso. Qual è stato un momento nella vita in cui hai dovuto avere fede?

Sarebbe facile rispondere "nel momento della difficoltà". Ma è un atto di fede anche riconoscere che una cosa che ti sta succedendo è bella e provare riconoscenza. In passato non ho apprezzato la felicità, facendola passare per normalità.

Sostenevi che "il malessere mentale è al pari di quello fisico". Credi che nell'industria dello spettacolo venga riconosciuta questa parità di trattamento?

No, non solo nel mondo dello spettacolo ma anche nella società. Il malessere mentale è una malattia nascosta, ancora un tabù. Hai paura di dire di soffrire di attacchi di panico o che vai dallo psichiatra perché temi gli sguardi degli altri. Facilmente la gente giudica e ti può far fuori perché hai dato un giudizio sulla tua salute mentale.

Come gestivi la pressione degli esordi?

Mi sentivo soltanto incredulo. Mia madre diceva: "È come fare tredici al Totocalcio, hai vinto una volta poi basta. Adesso torna a studiare". Poi al progetto successivo: "Sei proprio fortunato". Al terzo film, che è stato Piccolo grande amore, mamma mi ha detto che avrei potuto continuare a fare questo lavoro ma tenendo un occhio sullo studio. La pressione c'era nel momento in cui pensavo di non meritare il successo. Certi riconoscimenti li senti più tuoi dopo anni di lavoro.

In un'intervista del 1994 a proposito del futuro dicevi che speravi di raggiungere una serenità dal punto di vista sentimentale. Puoi dirti soddisfatto?

Non so perché a quell'età avessi risposto così. Probabilmente direi lo stesso anche adesso, non ci sono ancora arrivato. Io cercavo la serenità. È la cosa che più mi piacerebbe raggiungere. Cerco l'equilibrio, la forza impermeabile di farmi scivolare le cose addosso.

Dopo il divorzio da Chiara Giordano hai dovuto subire pesanti incursioni nella tua vita privata, raccontavi che i tuoi figli erano spaventati dall'assedio dei fotografi. Cosa hai fatto per tenerli al sicuro?

Non sai mai se hai fatto bene o hai fatto male, tutto ciò che ho fatto è stato per loro. In quei momenti ti senti come un gatto in autostrada mentre passano i tir che se possono schiacciarti lo fanno. Ti metti da
 
Sei sempre stato considerato un sex symbol. L'essere definito come tale ha mai interferito con il modo in cui desideri essere percepito?

Quando ero giovane mi dava un po' fastidio questo discorso, volevo essere apprezzato per altre cose, per la mia interiorità, per i miei pensieri. Ma nel momento in cui cresci e perdi la freschezza e la bellezza di ragazzo pensi: "Ah però, l'ho tanto contestata e adesso se n'è andata". Non c'è bisogno di dire "io sono tanto altro", il tuo corpo e il tuo viso si legano a ciò che hai dentro, basta semplicemente essere.

Madonna ti ha voluto accanto a sé in uno spot. Credi di essere in debito con lei per averti fatto conoscere al pubblico internazionale?

Io sono in debito e grato per ogni incontro che ho fatto, è stato un gradino in più. Ci sono state tante persone che mi hanno aiutato, certo, forse hanno visto in me qualcosa che avrebbe aiutato anche loro.

Tra l'altro in Emily in Paris, più di vent'anni dopo dallo spot, indossi i panni di un regista pubblicitario. Il tuo personaggio incarna un po' qualche stereotipo.

Tra tutti i progetti internazionali Emily in Paris forse non ha quella visione così stereotipata che hanno altri film internazionali. Io lo trovo un omaggio alle cose belle che abbiamo in Italia. Rivedere una Roma bella e curata fa anche piacere. Poi c'è da dire che la stiamo vedendo in una serie quindi c'è anche il beneficio dell'invenzione, del sogno.

Hai detto che Francesca Fagnani voleva creare sensazionalismo a tutti i costi però sapevi bene che ti stavi sedendo in un programma come Belve e non Domenica In. Pensi di essere stato un po' ingenuo, invece di permaloso?

Certo, si sapeva che Belve era una trasmissione un po' piccante ma quel piccante si tira fuori insieme, giocando e scherzando, senza metterti in imbarazzo. Quando non c'è collaborazione vuol dire che tu stai facendo il tuo show e non te ne frega di nessun altro. Se questa era la trasmissione allora ho fatto io uno sbaglio, ma non penso fosse questa l'idea del programma.

Credi che non si sia creato feeling tra di voi?

No, non si è creato feeling. Si è sempre un po' freddi all’inizio di un'intervista, non sai dove va a parare chi ti fa le domande. Non hai tu il coltello dalla parte del manico. Puoi accogliere le cose che dico oppure contestarmi. Puoi mettermi in difficoltà. È un percorso che si fa insieme. Io mi sono totalmente chiuso quando ho capito che non c'era sintonia.

Dicevi che nel 2040 ti auguri di essere nonno. Che mondo stiamo consegnando ai giovani?   

Abbiamo maltrattato questo mondo, soprattutto dal punto di vista ecologico. Ecco, già che ci sembri assurdo quello che facevamo cinque o dieci anni fa è un passaggio di coscienza molto importante. Significa che i nostri figli avranno una coscienza diversa. L'augurio, poi, è che non ci siano più conflitti.

C'è qualcos'altro che ti aspetti dal 2040?

Spero di arrivarci bene, di non essere un peso per i miei figli.


¿No temes verte atrapado en el papel?

Este año he podido concentrarme en otros proyectos, desde Emily in Paris a Buongiorno Mamma, pasando por una obra de teatro. Afortunadamente, tengo la oportunidad de probarme en muchos papeles diferentes sin el riesgo de quedarme atrapado en uno.

No se trata de protegerse, pero es cierto que los de dentro sólo pueden verte en un papel o pensar que sólo puedes hacer una cosa.
 
Rocío Muñoz Morales dijo que las mayores fans de Don Massimo son las monjas. ¿Lo confirmas?

A las monjas ya sabes que sí, les tenemos mucho cariño. Pero debo decir que el público es muy variado. Me he dado cuenta de que el abanico es muy amplio, desde la abuela hasta la nieta hay una generación por medio.
 
En el papel de Don Massimo vistes la ropa de un religioso. ¿En qué momento de tu vida tuviste que tener fe?

Sería fácil responder «en un momento de dificultad». Pero también es un acto de fe reconocer que algo que te está sucediendo es hermoso y sentir gratitud. En el pasado, no he apreciado la felicidad, pasándola por normalidad.

Has afirmado que «la mala salud mental está al mismo nivel que la mala salud física». ¿Cree que esta igualdad se reconoce en la industria del espectáculo?

No, no sólo en la industria del espectáculo, sino también en la sociedad. La enfermedad mental es una enfermedad oculta, sigue siendo un tabú. Tienes miedo de decir que sufres ataques de pánico o que vas al psiquiatra porque temes las miradas de los demás. Es fácil que la gente te juzgue y te menosprecie por haber hecho un juicio sobre tu salud mental.

¿Cómo manejaste la presión de los primeros días?

Me sentía incrédulo. Mi madre solía decir: 'Es como ganar trece veces a la lotería, ganas una vez y ya está. Ahora vuelve a estudiar'. Y al siguiente proyecto: 'Tienes mucha suerte'. En la tercera película, que fue Piccolo grande amore  me dijo que podía seguir haciendo este trabajo pero sin perder de vista los estudios. La presión estaba ahí cuando pensaba que no merecía el éxito. Ciertos reconocimientos los sientes más tuyos después de años de trabajo.

En una entrevista de 1994 sobre el futuro dijiste que esperabas alcanzar la serenidad desde el punto de vista sentimental. ¿Puede decirse que estás satisfecho?

No sé por qué contesté eso a esa edad. Probablemente ahora diría lo mismo, aún no lo he conseguido. Buscaba la serenidad. Eso es lo que más me gustaría conseguir. Busco el equilibrio, la fuerza impermeable para dejar que las cosas rueden sobre mi espalda.

Tras tu divorcio de Chiara Giordano, tuviste que sufrir fuertes incursiones en tu vida privada, has dicho que tus hijos estaban asustados por el asedio de los fotógrafos. ¿Qué hiciste para mantenerlos a salvo?

Nunca sabes si hiciste bien o mal, todo lo que hice fue por ellos. En esos momentos te sientes como un gato en la autopista cuando pasan los camiones y si pueden aplastarte lo hacen. Te haces a un lado y esperas.

Siempre se te ha considerado un símbolo sexual. ¿Ser definido como tal ha interferido alguna vez en la forma en que quieres ser percibido?

Cuando era joven me molestaba un poco, quería que me apreciaran por otras cosas, por mi interioridad, por mis pensamientos. Pero en el momento en que creces y pierdes tu frescura y tu belleza de niño, piensas: 'Ah, sin embargo, la desafié tanto y ahora se ha ido'. No necesitas decir 'soy mucho más', tu cuerpo y tu cara conectan con lo que llevas dentro, sólo tienes que serlo.

Madonna te quería a su lado en un anuncio. ¿Crees que estás en deuda con ella por haberte dado a conocer al público internacional?

Estoy en deuda y agradecidp por cada encuentro que he tenido, ha sido un paso adelante. Hubo mucha gente que me ayudó, por supuesto, quizá vieron algo en mí que les hubiera ayudado a ellos también.

Por cierto, en Emily en París, más de 20 años después del anuncio, interpretas el papel de una director de publicidad. Tu personaje encarna unos cuantos estereotipos.

De todos los proyectos internacionales, Emily in Paris quizás no tiene esa visión estereotipada que tienen otras películas internacionales. Me parece un homenaje a las cosas bellas que tenemos en Italia. Ver una Roma bonita y cuidada también es un placer. Luego hay que decir que la estamos viendo en una serie, así que también está el beneficio de la invención, de los sueños.

Dijiste que Francesca Fagnani quería crear sensacionalismo a toda costa, pero eras muy consciente de que estabas en un programa como Belve y no en Domenica In. ¿Crees que fue un poco ingenua, más que susceptible?

Por supuesto, sabías que Belve era un programa un poco picante, pero ese picante se saca juntos, jugando y bromeando, sin pasar vergüenza. Cuando no hay colaboración significa que estás haciendo tu propio programa y te importa un bledo lo que hagan los demás. Si ese era el espectáculo, me equivoqué, pero no creo que esa fuera la idea del espectáculo.

¿Crees que no se creó feeling entre vosotros?

No, no hubo química. Siempre estás un poco frío al principio de una entrevista, no sabes por dónde va la persona que te hace las preguntas. No tienes la sartén por el mango. Puedes aceptar las cosas que digo o desafiarme. Puedes ponerme en un aprieto. Es un camino que tomáis juntos. Me desconecté totalmente cuando me di cuenta de que no había armonía.

Ha dicho que en 2040 esperas ser abuelo. ¿Qué clase de mundo estamos entregando a los jóvenes?   

Hemos maltratado este mundo, sobre todo ecológicamente. Aquí, incluso que nos parezca absurdo lo que hacíamos hace cinco o diez años es un cambio de conciencia muy importante. Significa que nuestros hijos tendrán una conciencia diferente. El deseo, pues, es que no haya más conflictos.

¿Hay algo más que espere de 2040?

Espero llegar bien, no ser una carga para mis hijos.